Intervista al Professor Mario Caligiuri direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria sul Corriere del Ticino 26.10.2018

Secondo il New York Times l’intelligence statunitense ha accertato che Russia e Cina sono riuscite ad ascoltare le telefonate personali del presidente Donald Trump, potendo così ottenere informazioni utili per capire cosa pensa, quali argomenti lo influenzano e chi è incline ad ascoltare. Mosca e Pechino negano di avere spiato l’inquilino della Casa Bianca. Sulla vicenda abbiamo sentito il parere del Professor Mario Caligiuri, direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria.

Il presidente Trump afferma di usare solo telefoni governativi, ma gli 007 americani sostengono, stando a quanto rivelato dal New York Times, che usa frequentemente il suo iPhone personale per chiamare gli amici e consultarsi con loro. A chi credere?

«Obiettivamente è un gioco delle parti. Che vi siano telefonate registrate è altamente probabile, anche perché negli scorsi anni le telefonate di presidenti e capi di Governo europei come Angela Merkel e Silvio Berlusconi erano state intercettate dai servizi segreti di Paesi amici, come la NSA statunitense. Per cui si può affermare che le telefonate sono sicure, ma tecnicamente tutte le comunicazioni telefoniche possono essere intercettate, anche quelle che viaggiano sulle linee ritenute ipersicure».

Il recente annuncio di Trump di voler rompere l’accordo con la Russia sui missili nucleari a media gittata potrebbe essere un modo plateale di mostrare i muscoli ai propri elettori in vista del voto di midterm?

«È una possibilità. Sicuramente il presidente statunitense avrà fatto dei sondaggi preventivi, valutando poi se una tale presa di posizione possa rendere o meno dal punto di vista del risultato elettorale».

Come valuta il progressivo deteriorarsi dei rapporti tra Washington e Mosca?

«Noi interpretiamo la politica statunitense con gli occhi degli europei. Quindi non riusciamo a cogliere alcune sfumature. È evidente che il presidente degli Stati Uniti, che tra l’altro si è presentato alle elezioni del 2016 con lo slogan ‘‘America first’’, fa gli interessi degli americani, quindi qualunque posizione lui assuma, anche in politica estera, va a favorire gli interessi dei cittadini del suo Paese. Non parlerei comunque di rapporti tra Washington e Mosca che si deteriorano; ci sono come sempre interessi geopolitici e geoeconomici differenti, per cui si entra inevitabilmente in conflitto».

Nonostante tutto Trump a novembre incontrerà nuovamente Putin. Ci troviamo di fronte alla solita tattica dell’inquilino della Casa Bianca, che alza dapprima la voce con i propri interlocutori per poi cercare di trattare da una posizione di forza?

«La politica di Donald Trump, sia a livello nazionale che in ambito internazionale, è considerata schizofrenica. Io mi auguro che segua una logica, ce lo auguriamo tutti, che assicuri stabilità alla prima superpotenza mondiale che è espressione del mondo occidentale. Poi va detto che i poteri del presidente degli Stati Uniti sono temperati, per cui dalle sue dichiarazioni, che pure possono lasciare morti e feriti sul campo, prima di passare alle politiche concrete ce ne vuole». 

Sul fronte dell’intelligence usata come arma sotterranea nei rapporti di forza tra potenze, gli Stati Uniti dovrebbero temere di più la Russia o la Cina in questo momento?

«Dal mio punto di vista la Cina. C’è un libro di Daniel Bell, pubblicato l’anno scorso, che si intitola ‘‘The China model’’ nel quale viene evidenziato come i sistemi democratici non siano in grado di produrre delle élite affidabili orientate alla pianificazione del futuro. Il confronto tra le élite cinesi e quelle del mondo occidentale è impietoso. Si pensi che Xi Jinping non è stato catapultato alla guida dello Stato dopo una competizione elettorale; è infatti arrivato a questa posizione di vertice dopo una trafila durata decenni. Quindi il modo di selezione delle classi dirigenti è secondo me il limite più grave che mostra il sistema democratico. Ed è questo il succo di questa nostra intervista; la debolezza delle democrazie occidentali è evidente».

Intervista a cura di Osvaldo Migotto

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About the author: Giuseppe Naccarato