Intelligence, De Toni al Master dell’Universitá della Calabria: “L’intelligence è uno strumento per comprendere la complessità. Definire le competenze del corso di laurea”

Rende (13.4.2019) – “L’innovazione è una disobbedienza andata a buon fine e che è più facile nasca in periferia dove esiste più libertà di azione, in quanto il centro è presidiato dai modelli dominanti”. Così Alberto Felice De Toni, Rettore dell’Ateneo di Udine e Presidente della Fondazione CRUI, ha iniziato la sua lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.

De Toni è stato salutato dal Rettore dell’Università della Calabria Gino Mirocle Crisci, che è stato ringraziato dagli studenti del Master con una targa per la costante al percorso formativo e per l’impulso fornito allo sviluppo degli studi sull’Intelligence.

De Toni ha continuato la sua lezione spiegando che “l’innovazione richiede coraggio perché pone in discussione i tradizionali saperi”. Inoltre “il comportamento nel mondo fisco è dettato dalla necessità delle leggi, nel mondo biologico è basato sull’istinto e infine nel mondo sociale dipende dal libero arbitrio”. Il Presidente della Fondazione CRUI ha poi proseguito sostenendo che “la vocazione dell’Università non è la neutralità ma la ricerca della verità, integrando l’approccio scientifico con quello umanistico, indispensabili per ricercare nuove vie”.

Ha poi ribadito che nelle realtà complesse il management classico non funziona e che sono utili le esperienze dove si utilizzano approcci suggeriti dalla filosofia zen. La complessità è come una ragnatela: occorre muoversi come ragni altrimenti si rischia di diventare delle prede. De Toni ha poi evidenziato che un esempio significativo di ricerca delle tendenze del futuro è rappresentato dalla costruzione dei palinsesti televisivi, per cui è necessario esplorare i segnali del presente per intercettare i consumi che si manifesteranno nel futuro. Ha quindi affermato che “stiamo vivendo sull’orlo del caos, uno spazio dove troppo ordine produce fossilizzazione e troppo disordine disintegrazione. La complessità nel tempo cresce sempre perché è generata dall’evoluzione biologica e sociale, in quanto la complessità è fonte di sopravvivenza. Dobbiamo allora  disporre di adeguati modelli per comprenderla. E le scienze della complessità sono uno strumento potente per chi si occupa di intelligence in ogni ambito”.  Ha quindi ricordato il profondo significato del secondo principio della termodinamica che spiega come i sistemi chiusi collassino e quelli aperti invece evolvano.

Per i sistemi complessi risulta inefficace l’approccio riduzionistico – riconducibile a Cartesio – di scomporre i fenomeni in parti per scoprirne le leggi, perché le relazioni tra le parti danno vita a nuove proprietà: un

solo neurone non pensa ma molti neuroni pensano, così come il colore non è una caratteristica delle particelle dell’atomo, ma delle interazioni degli atomi con la luce esterna. De Toni ha argomentato che “per fronteggiare la complessità, l’organizzazione ha tre strumenti classici – le strutture, i processi e i sistemi – che però dimostrano la loro inadeguatezza al crescere della complessità. Occorre pertanto puntare sull’autonomia e sulla cooperazione degli addetti, che in questo modo possono porre l’intelligenza personale al servizio dell’organizzazione. Nell’industria si è passati dal fordismo, che produceva prodotti standard, al toyotismo – capace di produrre prodotti su misura – basato sull’assunzione di responsabilità del singolo lavoratore. In Toyota il patto (a livello basso) tra lavoratori e proprietà ha innescato un circolo virtuoso che si autoalimenta generando più impegno, più qualità, più quote di mercato, più profitto, più soldi ai lavoratori, più impegno”.  Ha quindi ricordato che in Germania il patto (a livello alto) tra rappresentanti dei lavoratori e datori di lavoro si realizza attraverso il consiglio di sorveglianza, che proprio in questi giorni è ripetutamente citato in occasione della fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank.

De Toni ha precisato inoltre che all’aumento di complessità occorra rispondere con l’aumento dei micro-potere degli addetti e dei macro-poteri di manager e proprietà, ricercando contemporaneamente ai due livelli l’equilibrio tra micro-poteri alla base e macro-poteri al vertice, il che aumenta le possibilità rispettivamente di cooperazione e alleanze. “Si ottiene lo stesso risultato – ha detto – sia con il patto con i lavoratori in basso, come in Giappone; sia con il patto con i rappresentanti dei lavoratori in alto, come in Germania”.

Il docente ha dunque spiegato che “nelle università per risolvere i problemi occorrono visione e capacità organizzative: le identiche regole a livello universitario nel nostro Paese danno adito a esiti molto diversi tra i 62 atenei pubblici”. E ha aggiunto: “occorre riflettere sulla circostanza che sui 500.000 diplomati annui in Italia, si iscrivano nelle Università circa la metà e di questi il 30 per cento abbandonino dopo il primo anno”. “Una peste moderna” ha definito questo fenomeno, proponendo come rimedi l’aumento del benessere degli studenti, che vanno accompagnati per individuare un personale metodo di studio, e responsabilizzando i docenti, in modo da creare significati profondi per renderli protagonisti di un processo di crescita. Infatti le università rappresentano comunità di apprendimento, basate su valori condivisi.

Ha quindi usato una metafora dicendo che il futuro arriva come un gatto: dapprima ci sono i segnali deboli (i passi felpati dei felini), ai quali segue il silenzio (l’agguato), per poi arrivare al balzo (l’assalto finale).

A questo punto ha spiegato che le discipline sono interconnesse secondo una logica di emergenza dal basso: per studiare le particelle elementari (i protoni, gli elettroni) serve la fisica; per studiare ciò che emerge dalle particelle elementari (gli atomi e le molecole) serve la chimica; per studiare ciò che emerge dalle molecole (le biomolecole) serve la biologia; per studiare ciò che emerge dalle biomolecole (tessuti e organi) serve la medicina; per studiare ciò che emerge dai tessuti cerebrali (la coscienza individuale) serve la psicologia, la pedagogia, l’antropologia; per studiare ciò che emerge dalla coscienza individuale (la coscienza collettiva sociale) serve la sociologia, la filosofia, l’economia ed altro. Le discipline sono interconnesse per cui dove termina la comprensione di una disciplina inizia la comprensione di un’altra. Sono nodi di una rete con relazioni multiple. Ha poi illustrato la differenza tra l’approccio multidisciplinare (che avviene nelle discipline ed è additivo), interdisciplinare (che si manifesta tra le discipline ed è sinergico) e transdisciplinare (che va oltre le discipline ed è emergente).

Pertanto – ha concluso De Toni – nello studio dell’intelligence occorre promuovere l’integrazione transdisciplinare, attraverso i cosiddetti “concetti e processi unificanti” che sono trasversali a tutte le materie, consentendo di superare i dannosi recinti disciplinari. Le abilità dell’operatore di intelligence, in ultima analisi, vanno costruite attraverso una formazione fondata sulle scienze della complessità.

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