INTELLIGENCE, ALESSANDRO BARBERO AL MASTER DELL’UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA SUL RUOLO FONDAMENTALE DELLE FONTI E DELL’INTELLIGENCE NELLA STORIA.

Rende (30.5.2019) – Da Costantino il Vincitore a Gabriele D’Annunzio, passando per le battaglie di Campaldino, Lepanto e Waterloo, sono stati i contenuti della lezione finale del Master in Intelligence dell’Università della Calabria tenuta da Alessandro Barbero, professore dell’Università del Piemonte Orientale. Lo storico ha spaziato in modo magistrale, dialogando con il Direttore del Master Mario Caligiuri, che ha articolato la conversazione partendo dalle innumerevoli opere di Barbero. I lavori del professore, infatti, comprendono testi scientifici, libri divulgativi e romanzi, tra i quali “Bella vita e guerre altrui di mr. Pyle, gentiluomo”, Premio Strega del 1996. Il tema dell’intelligence e in particolare dell’utilizzo delle informazioni per fini politici e militari è stato il filo rosso che ha caratterizzato l’intera conversazione. “Il concetto di intelligence – ha premesso Barbero – varia a seconda delle epoche e di come venisse utilizzata nell’antichità non ne sappiamo in realtà quasi niente”. “L’impero romano – ha proseguito – si basava sull’utilizzo delle informazioni per scopi politici e, in particolare, su una impressionante macchina della propaganda. La stessa visione di Costantino, che in occasione della battaglia di Ponte Milvio, vede nel Cielo la croce e la scritta in Hoc Signo Vinces, si inserisce in tale contesto, poiché era compito dell’imperatore mantenere la pace religiosa, atteso che le persecuzioni contro i cristiani ne avevano ampliato il culto”. “Con Carlo Magno – secondo il professore – l’Europa comincia a diventare un concetto geopolitico. L’imperatore ne attutisce le diversità anche diffondendo un calendario liturgico e una Bibbia uguali per tutti i popoli. In quell’epoca, l’intelligence era praticata a livello dilettantistico, come dimostrano le vicende della campagna di Catalogna dove, erroneamente, Carlo Magno considera alleato l’Emiro di Saragozza”. Barbero ha poi ricordato che quello che diciamo del passato è basato sulle fonti e le competenze tecniche per decifrare le fonti variano da un’epoca all’altra. I romani facevano esteso uso di epigrafi apposte su lapidi, diffuse in ogni parte dell’impero, mentre una sfida decisiva per la contestualizzazione delle informazioni ai fini di intelligence è rappresentata dalle traduzioni: il Corano, per esempio, nella versione araba è il libro sacro, tradotto in un’altra lingua diventa un testo qualunque. Barbero ha quindi evidenziato che nel mondo delle Crociate la circolazione delle informazioni era organizzata in modo diverso rispetto ai giorni nostri e anche le immagini svolgevano una funzione decisiva. Si è quindi soffermato sul Medioevo che era un periodo di un cinismo estremo, dove le intenzioni più che dissimulate venivano apertamente dichiarate. Ha ribadito che dopo l’anno Mille ci fu un periodo di crescita con la costruzione delle cattedrali che portavano benessere economico, mobilità sociale e ottimismo. In quell’epoca, le città diventano le Patrie che si confrontano in modo vincente con l’Impero, tanto che Barbarossa viene sconfitto a Legnano il 29 maggio 1176. Le città si dividono in base all’orientamento dei propri cittadini, di parte guelfa o ghibellina, che si scontrano in Toscana nella battaglia di Campaldino del 1289, che vede prevalere Firenze, alleata del Papa, contro Arezzo, che parteggia per l’Imperatore. Un’altra dinamica che contraddistingue le città in questo periodo è l’indecisione sulla forma di governo, ovvero se rimanere comuni o trasformarsi in Signorie, come in genere inevitabilmente accade. Per Barbero, quella Ottomana era una civiltà raffinata, costellata da spie e sicofanti in tutti gli angoli dell’impero fino all’interno dell’harem di Solimano il Magnifico, dove le congiure erano inevitabili. La civiltà ottomana e quella cristiana si scontrano a Lepanto, epica battaglia dei tre imperi. Anche in questo caso, le informazioni fanno la differenza, tanto che della flotta ottomana si salva solo quella diretta dall’ammiraglio Ulug Alì, un convertito di origini calabresi, che aveva le conoscenze per affrontare il mare anche nelle contese. “Nella Serenissima – ha poi sottolineato – le spie, a cominciare da quelle “onorate” come gli ambasciatori, hanno fornito un contribuito fondamentale alla sua ascesa, alla sua gloria e alla sua sopravvivenza”. Muovendosi sulla linea del tempo fino al XVIII secolo, Barbero evidenzia come Federico il Grande di Prussia fosse il sovrano di una piccola potenza, ma con molte ambizioni, prima di tutte quella di sopravvivere e poi di ingrandirsi, come avvenne nella decisiva conquista della Slesia. Federico assegna all’esercito un ruolo centrale, dove emerge l’importanza dell’intelligence, non necessariamente militare. Il sovrano, infatti, sa usare bene le spie, che gli riferiscono direttamente. Federico vuole, però, proporre di sé un’immagine illuminata, tanto che fa edificare il palazzo di Sans Souci, “senza pensieri”, dove si spegne nel 1786. Un altro fatto degno di nota di Federico il Grande è la scrittura dell’opera “Antimachiavelli”, per ribadire l’importanza dei comportamenti morali, tutto il contrario della sua politica che era invece spregiudicata e aggressiva.
Il professore ha quindi illustrato la gigantesca figura di Napoleone, che assegna all’intelligence un’importanza enorme più sul piano politico che militare. Emerge in questo contesto un personaggio come Joseph Fouché, che inventa la moderna polizia politica. Napoleone crea un ceto borghese burocratico che deve tutto all’imperatore, che è anche un genio della propaganda, esaltando la gloria di una grande nazione che si è dotata di un capillare apparato amministrativo.
Napoleone, infatti, crea l’impero della statistica, con volumi di dati, tanto che quando muove le guerre, l’imperatore dispone di tutti i dati statistici allora possibili. Informarsi, quindi, faceva parte dello spirito del tempo, ma nell’arte della guerra – amava dire l’imperatore – la dote più importante di un generale è essere fortunati. Infatti, lo spionaggio influisce quanto la fortuna, come dimostra l’esito di Waterloo, la battaglia per antonomasia. Barbero ha poi dato uno sguardo all’Europa vista dall’Atlantico durante il tornado napoleonico richiamando la figura di Mr. Pyle, il personaggio del suo romanzo inviato in missione nel Vecchio Continente dal Congresso americano, con indicazioni abbastanza vaghe. Mr. Pyle assiste alla battaglia di Iena del 1806, dove Napoleone spazza via in un solo giorno l’esercito prussiano. Il protagonista capisce, quindi, che le informazioni che consentono di comprendere quanto sta davvero accadendo non sono contenute nei libri dei suoi connazionali. Gli americani del tempo, infatti, mantengono un legame viscerale con l’Inghilterra e, pur praticando la democrazia, esercitano verso di essa robuste resistenze, tanto che il secondo presidente John Adams la considera peggiore della tirannide.

Barbero ha quindi affrontato il tema ancora spinoso dell’Unità d’Italia, evidenziando che la storia nei libri di testo a volte viene raccontata per “smussare alcuni spigoli”. Le fonti, cioè le informazioni dell’epoca, ci dicono invece che Vittorio Emanuele II come comandante militare si rivela una catastrofe; Mazzini agisce da terrorista facendo esplodere le bombe e viene per questo condannato a morte; Cavour vede come la peste Garibaldi che temeva potesse promuovere la rivoluzione; infine Cavour e Vittorio Emanuele II si detestano a vicenda. Nonostante questo, l’Unità è stata realizzata da due generazioni che credevano nell’idea di Italia: quella dei moti del 1821 e quella dei moti del 1848, che poi si prolungano fino al 1860, coinvolgendo studenti e giornalisti, sacerdoti e insegnanti, artigiani e ferrovieri.

A questo proposito ha ricordato che il mondo contadino, che rappresenta la maggioranza della popolazione, al Nord è indifferente all’unità  d’Italia, mentre al Sud la lotta di classe è rivoluzionaria, poiché dettata dalla feroce lotta per la terra. Questo spiega come i Mille dello sbarco a Marsala siano poi diventati 50 mila nella battaglia del Volturno.
In tale ambito ha spiegato, attraverso una puntuale verifica delle fonti frutto di un lavoro di scavo e quindi di intelligence del passato, la vera storia di Fenestrelle, una delle carceri sabaude dove sono stati imprigionati i soldati dell’esercito borbonico. Secondo alcune polemiche degli ultimi anni, tantissimi meridionali morirono nei lager dei Savoia. Barbero ha recuperato i dati di Fenestrelle nome per nome e giorno per giorno, smentendo le ricostruzioni attuali ed evidenziando che anche negli accesissimi dibattiti parlamentari dell’epoca non si fa alcuna menzione di questi episodi, anzi i deputati del Mezzogiorno, intervenendo in aula quando si discute del brigantaggio, affermano: “magari ne fucilassero di più”.

Il professore ha approfondito la vicenda della battaglia di Caporetto dove furono sottovalutate le informazioni di intelligence. Infatti, i nostri Comandi avevano le informazioni sulle reali intenzioni degli austriaci, grazie alle spie che operavano in città neutrali come Berna e Zurigo, alle intercettazioni dei telefoni al fronte e alle delazioni degli innumerevoli disertori del multietnico esercito austriaco, all’interno del quale molte nazionalità speravano che l’impero asburgico perdesse la guerra.

L’ufficio Situazione dell’Esercito aveva comunicato tutte le informazioni al Comando supremo diretto dal generale Luigi Cadorna, che dapprima sottovaluta le informazioni ritenendo che d’inverno fosse improbabile un’offensiva e successivamente le prende in considerazione, ma ragionando in termini astratti. Infatti sposta 50 brigate negli ultimi due giorni, che però in gran parte erano tali solo sulla carta. Questo determina il tragico tracollo italiano.

L’ultimo tema affrontato dal professore è stata l’esperienza di D’Annunzio, poeta e maestro della parola e quindi delle informazioni.

“La guerra – ha ricordato – è la cosa più poetica di tutte: pensiamo al conflitto di Troia eternato da Omero nell’Iliade. Poesia e guerra hanno scandito i secoli perché si inquadrano nelle vicende eroiche. Solo nella prima guerra mondiale si radica nelle masse europee la scoperta che la guerra è inutile e insensata, mentre le classi dirigenti si muovono come sonnambule e continuano a considerare sacra la guerra. D’Annunzio sconvolge invece l’idea di guerra, dimostrandolo nella beffa di Buccari, nel volo su Vienna e nella vicenda di Fiume. La lezione è terminata con le vicende di un poeta al comando in anni che sarebbero poi volti all’impossibile.

La formidabile lezione di Alessandro Barbero è stata conclusa da una breve considerazione del direttore del Master Mario Caligiuri, che ha ricordato i temi affrontati durante la giornata:  dall’epoca romana alle conseguenze della prima guerra mondiale passando per Carlo Magno, le crociate, la sontuosa storia di Venezia, le traduzioni stentate dell’impero Ottomano, il cinismo di Federico il Grande, il genio di Napoleone, i primi passi degli Stati Uniti come nazione, le vicende ancora aperte dell’Unità che vanno affrontate con le fonti esatte, l’intelligence trascurata di Caporetto, la poesia ardita e militante del Vate.

“Quella raccontata da Alessandro Barbero – ha detto Caligiuri – è la storia delle vicende umane, dove le informazioni, a volte false, altre tardive, hanno un ruolo fondamentale, anzi fanno sempre la differenza.  Ieri, come oggi e come domani, l’Intelligence si conferma fondamentale per comprendere lo spirito dei tempi”.

 

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